Perché lo sapevo, porcaccia miseria. Ma, come un bambino deficiente che ignora gli avvertimenti dei genitori, ho dovuto toccare con mano. E puntualmente sono rimasto scottato.
L'ho detto e lo ripeto: Descent è stato il miglior horror del decennio che si è appena concluso. Unico acuto di Neil Marshall dopo quella baggianata di Dog Soldiers e prima di Doomsday (tutti con la "D") che era solo un minestrone di citazioni.
Descent è un film potentissimo, un pugno nello stomaco. Sei amiche speleologhe restano intrappolate in un labirinto di caverne sotterranee con dei mostri umanoidi ciechi e affamatissimi, ma soprattutto con i loro drammi interpersonali fatti di corna, lutti da elaborare ed errori irreparabili. La discesa nell'orrore si fa metafora della caduta negli abissi dell'animo umano fino a toccare un fondo di rancore e vendetta.
Un vero capolavoro girato come un incubo claustrofobico e psichedelico.
Quando si è saputo del sequel, di cui Marshall sarebbe stato solo produttore, in molti hanno storto il naso. L'uscita del trailer, poi, ha fatto gridare allo scandalo. É risultato subito evidente che la seconda parte avrebbe contraddetto il finale apocalittico del primo film rigettando nella mischia i due personaggi principali, Sarah e Juno.
Lo spunto del film è anche logico. Se sei ragazze sono andate disperse nelle grotte, è ovvio che qualcuno debba andare a cercarle. Mi sta bene. Ma perché richiamare in causa dei personaggi che hanno ormai compiuto il loro percorso?
A onor del vero, va detto che qualche buona idea qua e là c'è, ma sembrano più che altro scarti del primo film. Le scene horror vivono più di ribrezzo che di spavento: topi che escono dalla bocca dei cadaveri, lotta nella latrina dei mostri intasata di feci e così via.
Manca del tutto la parte emotiva. La correlazione tra i personaggi è debole, priva di spessore e non suscita alcun interesse. L'evoluzione buonista del rapporto tra Sarah e Juno è insopportabile.
Purtroppo, il finale apre inevitabilmente per il terzo capitolo. Speriamo che l'accoglienza tiepida del film all'estero spinga la produzione a desistere.
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