martedì 9 settembre 2014

The Walking Dead - Season Two; The Wolf Among Us: siamo tutti brava gente


Il primo titolo della Telltale Games su cui ho messo le mani è stato Ritorno al futuro, insignificante sotto il profilo dell'avventura grafica ma apprezzabile come nuovo episodio della saga, con le voci di Michael J. Fox e Christopher Lloyd, le musiche di Alan Silvestri riarrangiate e il soggetto scritto da Bob Gale, sceneggiatore della trilogia cinematografica, secondo gli stilemi e nel pieno spirito della serie.


Recentemente ho recuperato anche la prima stagione di Sam & Max e Tales of Monkey Island, due franchise di cui mi sono innamorato ai tempi belli della LucasArts e che hanno fatto la storia dei giochi punta e clicca. Nelle mani della Telltale, però, il discorso è sempre lo stesso: trama divertente e personaggi scritti bene ma al giocatore viene chiesto di fare due più due e niente di più.

Poi è arrivato The Walking Dead che mi è sembrato subito un semplice tentativo di cavalcare il successo del brand creato da Robert Kirkman. Ho mollato il fumetto dopo una settantina di numeri e ho detto basta alla serie tv al termine della scorsa stagione. In entrambi i casi, la metaforetta morti viventi-vivi morenti, neanche originale, viene sputtanata dopo cinque minuti e la ricetta per mandare avanti la telenovela mi è parsa fin da subito piuttosto chiara e parecchio furba: un sacco di menate interpersonali, ogni tanto si cambia ambientazione, si uccide un personaggio, se ne buttano dentro un paio nuovi e si ricomincia da capo. E gli zombi restano quasi sempre sullo sfondo come puro pretesto narrativo.

Se può risultare sopportabile su un albo mensile di venti pagine, comunque sceneggiato con perizia per una resa grafica eccellente, non si può dire altrettanto di una serie tv settimanale con episodi di quaranta minuti durante i quali succede poco o nulla e l'action somministrata col contagocce finisce per essere ripetitiva e infarcita di cazzate che hanno interrotto ormai da tempo qualsiasi sospensione dell'incredulità. Eppure è un'opera multimediale che continua a godere di grande popolarità. 

Il titolo di gioco dell'anno 2012 affibbiato alla trasposizione videoludica, quindi, mi ha lasciato inizialmente freddo e diffidente. Quando l'ho provato ho capito subito che la Telltale ha voluto cambiare registro. Sembra che gli sviluppatori si siano detti: "Non siamo capaci di creare avventure grafiche davvero complesse o impegnative ma siamo bravini nell'imbastire buone trame e nell'approfondimento dei personaggi. Buttiamoci su quelli."

Il risultato non è altro che un fumetto interattivo nel quale il giocatore è chiamato ad operare alcune scelte che influiranno sul prosieguo della vicenda, una sorta di evoluzione delle storie a bivi di Topolino. Si tratta perlopiù di dilemmi morali che hanno ripercussioni sul percorso interiore del protagonista e, in molti casi, bisognerà decidere della vita o della morte dei comprimari. Almeno questa è l'illusione che il gioco vorrebbe dare poiché, nella maggior parte dei casi, quale che sia la scelta presa dal giocatore, il destino dei personaggi, e del protagonista in particolare, è già deciso, ci si arriva semplicemente per vie diverse.

Per il resto, gli elementi convenzionali dell'avventura grafica restano all'acqua di rose, il gameplay action si basa sul pigiare tempestivamente il pulsante indicato in sovrimpressione e la grafica fumettosa con cambi d'inquadratura ad ogni schermata si lascia guardare. Alla fine di ogni episodio, vengono mostrati i dati percentuali delle scelte effettuate dagli altri utenti e i risultati mi hanno dato da pensare. Risulta infatti che la stragrande maggioranza dei giocatori abbia preso sempre la scelta più moralmente giusta.

Un esempio. Diciamo che durante la storia, una tizia all'interno del tuo gruppo di sopravvissuti fa delle cazzate che hanno gravissime conseguenze. Puoi scegliere:

A: La perdoni

B: La allontani dal gruppo

C: La uccidi

D: Lasci decidere agli altri

Beh, risulta che l'85% (o giù di lì) dei giocatori la perdona.

Ora, premesso che ognuno è libero di fare come cazzo gli pare, ma che gusto ci si trova a giocare in questo modo?

Gran parte del fascino dei videogiochi sta nell'immedesimarsi nel proprio avatar virtuale per fare cose che nel mondo reale non potresti mai fare, tipo vincere la Champions League, affrontare i Covenant sul pianeta Reach, intrufolarsi a Castel Sant'Angelo per uccidere il Papa o andarsene in giro sfoggiando le tette di Lara Croft.

Voglio dire, ci siamo mai posti dilemmi morali nell'applicare le fatality in Mortal Kombat per finire brutalmente l'avversario? No, anzi, ci siamo messi lì ad imparare le combinazioni a memoria per fare i fighi con gli amici. Combinare qualche porcata in Grand Theft Auto è mai stato un problema? Macché, il gioco sta tutto lì. E Carmageddon ce lo ricordiamo?

Poi arriva il divino brand The Walking Dead e tutti a fare gli eroi moralmente infallibili perché altrimenti il gioco ci dice, o meglio, ci lascia sottilmente intendere che siamo delle brutte persone.

Per quel che mi riguarda, sarò anche un bastardo polemico rompicoglioni ma anche un non violento, sono contrario alla pena di morte e ho imparato sulla mia pelle che ad essere vendicativi ci si guadagnano solo un sacco di rimorsi. Quando cammino per strada e trovo un formicaio, faccio il giro largo per non disturbarlo, aiuto le vecchiette a buttare i sacconi della monnezza troppo pesanti e se c'è da fare volontariato o beneficenza non mi tiro indietro. 

Nei videogiochi, invece, mi diverto a fare ogni genere di azione il più politicamente scorretta possibile proprio perché dev'essere un'evasione, un diversivo senza conseguenze, magari anche uno sfogo del tutto innocuo per le piccole frustrazioni quotidiane. Voglio dire, ti girano i coglioni per qualche casino? Giochi a Street Fighter, scarichi tutta la tensione prendendo a sganassoni Bison e nessuno si fa male davvero.

L'unico motivo d'interesse che trovo in un prodotto come The Walking Dead è proprio l'opportunità di spingere il protagonista in una zona d'ombra alla quale non mi avvicinerei mai nella vita reale così da creare un personaggio sfaccettato, tormentato e complesso attraverso cui si vanno ad intrecciare relazioni interpersonali altrimenti noiose e prevedibili.

Ho archiviato la prima stagione del gioco con moderata soddisfazione, trovando comunque ingiustificato lo smoderato plebiscito di critica e pubblico. L'esperienza è stata tuttavia sufficiente a spingermi a provare anche il sequel che mi ha lasciato ancor più perplesso. 

L'undicenne Clementine, comprimaria nel primo episodio, diventa qui la protagonista principale. Prematuramente indurita dagli eventi orribili che le sono occorsi, la ragazzina si troverà a prendere delle decisioni che influiranno sulla sua crescita individuale e sulla donna che è destinata a diventare. Un'idea che si rivela un boomerang e che comporta un implicito ricatto morale sia per gli sviluppatori che per il giocatore.

Avere una ragazzina al centro della storia significa non poter prendere mai decisioni davvero immorali e, qualora si provi a spingere Clementine oltre il limite, c'è sempre qualche svolta narrativa che t'impedisce di andare fino in fondo o qualche giustificazione che ammorbidisce e assolve la protagonista. Scelgo di prendere un coltello in cucina per difendermi da un intruso? Il tizio in questione se ne accorge e lancia un'occhiataccia a Clementine scoraggiandola. Non sia mai che una ragazzina uccida qualcuno in un'opera di fiction. Se avessi scelto di non agire sarebbe stata la stessa cosa.

L'intenzione dichiarata degli sviluppatori di rendere Clementine una bussola morale per i suoi compagni la dice abbastanza lunga sulla rottura di palle che riserva il suo arco narrativo. Tra l'altro, un gruppo di adulti che agisce secondo lo stato d'animo e le scelte di una decenne è anche una gran cazzata. Un cinquantenne grande, grosso e incazzato sta per sparare ad un altro sopravvissuto potenzialmente pericoloso? Clementine gli urla "No!" e lui desiste. Certo. Come no.

Ma la verità è che il giocatore stesso, in veste di architetto del suo avatar e della storia, si sente inibito nel prendere certe decisioni semplicemente perché non sono adatte al personaggio. Nella prima stagione potevi anche spingere il protagonista Lee ad uccidere qualcuno. Era un adulto ed era accusato di omicidio. Nonostante tutta la merda che ha dovuto ingoiare, invece, Clementine è pur sempre una bambina e difficilmente potrebbe denotare lo stesso cinismo.

Lungi da me liquidare alla buona un videogame come The Walking Dead - Season Two ma, ad onor del vero, l'ho trovato inconsistente e noioso. L'unico momento davvero valido è il finale, anzi, l'epilogo, ma solo se si hanno le palle di far prendere a Clementine la strada più difficile e, quindi, più interessante. 

Tutt'altra storia, invece, per quel che riguarda The Wolf Among Us.


Prequel di Fables, serie DC-Vertigo creata da Bill Willingham, il gioco è ambientato a Fabletown, una comunità segreta newyorkese di personaggi delle fiabe costretti dal temibile Avversario a fuggire dal loro mondo e a nascondersi nel nostro assumendo sembianze umane grazie a costosi incantesimi. Quelli che non possono permetterseli vengono confinati in un ghetto per non rischiare che gli umani ne scoprano la vera natura. A mantenere l'ordine nella comunità c'è il rude detective Bigby Wolf (che sta per Big B. Wolf, ovvero Big Bad Wolf) il grosso lupo cattivo, qui in versione licantropo, che dovrà risolvere il caso di una catena di omicidi.

É un avvincente hard-boiled con un'accattivante veste estetica fumettistica simile a quella di The Walking Dead. Trasportati nel mondo reale e costretti alla sopravvivenza, i personaggi fiabeschi perdono la loro innocenza divenendo cinici e corrotti. La trama è incalzante, ricca di colpi di scena e regge fino alla fine.

E poi c'è Biancaneve che meriterebbe uno spin-off tutto per lei.


Anche in questo caso, le scelte morali prese dal giocatore non influiscono particolarmente sulla trama ma è il come si decide di procedere che può rendere l'esperienza davvero spassosa. In questo caso, infatti, più si è politicamente scorretti e più ci si diverte rimanendo perfettamente in linea con le caratteristiche e l'indole di Bigby. Si possono interrogare brutalmente i cattivi prendendoli a bottigliate o spegnendogli sigari sulle braccia, si può sfasciare un intero locale per far cantare il gestore, nei combattimenti si può staccare gratuitamente un braccio all'avversario o ucciderlo e punto.

Se si decide di essere brutali e spietati fino in fondo, il rispetto della comunità nei confronti di Bigby si trasformerà in paura (a prescindere da quello che accadrà poi nel fumetto). Ed è giusto che sia così. Perché Bigby è il lupo cattivo, tutti devono temerlo, le maniere gentili non fanno per lui e il lieto fine non gli si addice. 

Da giocare tirando fuori la bestiaccia dentro di noi.

Nessun commento:

Posta un commento