lunedì 8 settembre 2014

Batman Zero Year: anche i prequel hanno un prequel


Batman è uno dei personaggi della DC che ha subito meno stravolgimenti in seguito al grande reboot del 2011. D'altronde se una cosa funziona è inutile stare lì a cambiarla o a ripensarla. Tutti i fatti salienti della vecchia continuity sono stati conservati nella nuova e Batman Incorporated di Grant Morrison, saga iniziata prima del reboot, ha potuto trovare la sua naturale conclusione. L'unica vera novità all'interno della bat-family è stata il ritorno in campo di Barbara Gordon nei panni di Batgirl.


Delle nuove testate dedicate al Cavaliere Oscuro, Batman si è imposta subito come serie trainante grazie al talentuoso sceneggiatore Scott Snyder che si era precedentemente messo in luce con American Vampire della DC-Vertigo, scrivendo la prima story-arc insieme a Stephen King, e si era già cimentato con Batman su Detective Comics pre-reboot. 

Snyder, tuttavia, è un autore verso il quale ho imparato ad avere un approccio di moderata diffidenza. Conosce la mitologia di Batman a menadito, sa come esplorarne i concetti base per scovare aree ancora da sviluppare, approfondisce i personaggi attraverso dialoghi ben ragionati, riesce ad imprimere nelle storie afflato epico e potenza emotiva come pochi altri ed escogita sequenze action da mozzare il fiato, rese mirabilmente da Greg Capullo, suo abituale collaboratore sulla serie. Di contro, ogni tanto Snyder si lascia andare ad idee di sceneggiatura tirate per i capelli e vezzi autoriali che lasciano un tantino perplessi.

Prendiamo la sua prima story-arc su Batman, suddivisa in due parti, La Corte dei Gufi e La Notte dei Gufi, nella quale Gotham City viene messa sotto scacco da una potente loggia segreta. Dopo una battaglia epocale, scopriamo che Lincoln March, industriale e candidato a sindaco, è in realtà un membro dei Gufi e il suo vero nome è Thomas Wayne Jr., fratello minore di Bruce. Per sostenere la tesi del fratello perduto e dimenticato, Snyder si avventura in uno spiegone allucinante che fa acqua da tutte le parti. 



Martha Wayne, uno dei membri più influenti e facoltosi dell'alta società di Gotham, ha un incidente mentre è incinta del suo secondogenito. Il bambino nasce prematuro e verrà dato per morto. Possibile che nessun quotidiano scriva una virgola sull'accaduto? Pur ammettendo che Bruce abbia rimosso quel ricordo, è plausibile che il più grande detective del mondo non sia mai venuto a conoscenza dei fatti?

Poi c'è stata la story-arc Morte della famiglia nella quale il Joker vuol seminare zizzania nella bat-family perché ritiene che Batman, sua nemesi complementare, sia caratterialmente indebolito dai suoi compagni. Tutto concettualmente esatto. Storia gradevolissima. Vorrei solo capire perché Joker assomiglia a Leatherface, con tanto di motosega, 



e cosa cavolo c'entra Non aprite quella porta in tutto questo. 



Ok, in entrambi i casi si parla di famiglie disfunzionali ma mi sembra comunque un accostamento un tantinello azzardato.

E veniamo a Zero Year, rilettura dei primi mesi di attività di Batman che Snyder spartisce in una trilogia ispirandosi in parte a quella cinematografica di Christopher Nolan. Il primo capitolo, Secret City, si concentra sul ritorno di Bruce a Gotham e sui suoi primi giorni da vigilante, quando non ha ancora scelto di utilizzare il simbolo del pipistrello e i suoi metodi risultano poco efficaci.

Ad un Batman grezzo non può che contrapporsi un Joker altrettanto embrionale in veste di leader della gang del Cappuccio Rosso che minaccia la città. Per creare il più grande detective del mondo, però, il primo vero mastermind da affrontare dev'essere qualcuno che metta alla prova le sue capacità deduttive. Nella fattispecie l'Enigmista, alias Edward Nygma, consigliere di Philip Kane, zio materno di Bruce a capo delle Wayne Enterprises.



In questa prima parte, tutto ruota attorno alla volontà di Bruce di accettare o meno la propria eredità e riabbracciare le sue origini. Il ritorno a villa Wayne, in tal senso, è altamente simbolico e Snyder tira fuori una delle sue idee bislacche. In molte versioni delle origini di Superman abbiamo visto Clark scoprire il destino di Krypton e parlare con il padre attraverso congegni olografici interattivi. Un'idea resa ammorbante da Zack Snyder (nessun legame di parentela con Scott) ne L'Uomo d'Acciaio.

Con un effetto in qualche modo simile, qui Bruce trova una sfera creata da suo padre insieme a Lucius Fox che permette di ottenere una mappa tridimensionale di qualunque luogo sotterraneo, utile per setacciare le zone colpite da valanghe. In questo modo, la bat-caverna viene proiettata all'interno di Villa Wayne creando un ibrido reso da Capullo in questo modo:



Mah...

La seconda parte, Dark City, vede Batman entrare finalmente in azione. Snyder e Capullo tirano fuori dalla naftalina il costume storico nella prima versione di Bob Kane e gli danno una rimodernata. Lo scontro decisivo con Cappuccio Rosso termina com'è noto. La versione del cabarettista fallito che finisce nello stabilimento chimico suo malgrado mi piaceva di più ma, gira che ti rigira, si va sempre a parare al Joker e della sua precedente identità non resta nulla, quindi poco importa. Durante il combattimento, lo sceneggiatore ricorre ad un'idea iconograficamente avvincente ma un attimino poco pratica.



Il testimone del villain di turno passa a Doctor Death, versione più estremizzata sotto il profilo horror-grottesco-fantascientifico dello storico nemico di Batman. Poteva essere imbastito un facile parallelismo con il dottor Thomas Wayne, padre di Bruce e medico rinomato. Si è optato invece per una back-story che collega Death all'eroe in maniera molto più pretestuosa.



L'approfondimento del rapporto tra Batman e il tenente Gordon, minato da un'iniziale sfiducia, è il vero motore emotivo del capitolo. Come detto, Snyder va sempre in cerca di elementi ancora da sviluppare nella mitologia del personaggio. In questo caso cerca di dare una storia all'impermeabile di Gordon trasformandolo in una sorta di simbolico mantello e ponendolo come punto cardine di un equivoco piuttosto discutibile (Bruce non ricorda che sua madre fosse stata incinta. In compenso s'è fatto un pippone mentale su un impermeabile per vent'anni o più.)

Non mi hanno entusiasmato affatto né la batmobile che sembra uscita dalle Wacky Races di Hanna & Barbera (il fregio dorato sul cofano a forma di pipistrello lo trovo di un vezzoso insopportabile)



né il bat-dirigibile.



Tra le tante citazioni e riferimenti, Capullo si lascia andare a qualche omaggio a Frank Miller.



Se The Dark Knight Rises fosse stato diretto da Michael Bay avremmo avuto qualcosa di molto simile a Savage City, parte conclusiva della trilogia. L'Enigmista ha preso in ostaggio tutta Gotham, esattamente come fa Bane nel film di Nolan, e la restituirà ai suoi abitanti solo se uno di loro riuscirà a porgli un indovinello irrisolvibile.

Il look post-apocalittico di Batman m'ha fatto abbastanza schifo.



Catastrofismo, tanta action sfrenata, un team dell'esercito inviato a risolvere la situazione, la soluzione drastica dei caccia da combattimento che hanno l'ordine di bombardare la città, un po' come in The Rock, e laddove Nicolas Cage si praticava un'iniezione di adrenalina nel cuore, Batman preferisce una bella scarica elettrica.



Nell'epilogo, ennesima stramberia, peraltro inutile: un flashback nel quale vediamo Bruce che, anni addietro, stava per ricorrere all'elettroshock. Il sogno di Alfred richiama nuovamente The Dark Knight Rises. In dodici numeri si vedono a malapena e di sfuggita tre personaggi femminili: Vicki Vale, Pamela Isley e Julie Madison. Funzionale Lucius Fox.

Siamo sempre lì. Le idee ci sono, pure troppe, la lettura è divertente e alterna bene la componente intimista con quella action, ma saltano fuori anche delle trovate poco ragionate o qualche stupidata di cui non si sente proprio il bisogno.


Gag, tra l'altro, ripetuta più volte.

Mitologia e integrità del personaggio, quantomeno, vengono rispettate e, di 'sti tempi, è già abbastanza.


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