mercoledì 14 luglio 2010

"Non c'è brivido di caccia più forte del cacciare un uomo."


L'inizio è splendido. Il protagonista, un mercenario interpretato da un Adrien Brody versione Schwarzenegger, viene paracadutato in una giungla. Non è il solo. Oltre a lui ci sono uno spetsnaz russo, un narcotrafficante messicano (Danny "Machete" Trejo), un guerrigliero africano, un condannato a morte, un sicario della Yakuza, un medico e naturalmente una bella soldatina israeliana. Un gruppo che, al di là degli stereotipi, risulterebbe anche figo se non fosse che i componenti vengono approfonditi poco o nulla. 

Ed è il primo errore del film. 

In una storia di questo genere, infatti, la tensione si accumula proprio attraverso il rapporto tra i personaggi che, altrimenti, risultano solo dei pupazzi. Proprio Adrien Brody, che dovrebbe essere una specie di Rambo traumatizzato e reso cinico dalle sue vicissitudini, non è mai credibile. Anzi, il fatto che riesca a capire qualsiasi cosa alla prima occhiata lo rende irritante. 

Gli bastano dieci minuti per realizzare di trovarsi su un pianeta alieno, che si tratta di un'unica grande riserva di caccia dei Predators, che lui e gli altri sono la selvaggina e che i mostri a quattro zampe che cercano di sbranarli sono cani da caccia, neanche fossero bracchi. 

Ora, non che da un film di questo tipo mi aspetti chissà quale trama o contenuti ma almeno qualche idea nuova dal punto di vista dell'action e delle dinamiche tra i personaggi vorrei trovarla. Invece, le scene di battaglia, pur essendo crude al punto giusto e abbastanza libere dal digitale, non mostrano nulla di nuovo. 

L'atmosfera non riesce a ritrovare l'affascinante patina horror del prototipo. Il cammeo di Laurence Fishburne vorrebbe forse citare Marlon Brando in Apocalypse Now ma finisce per essere Tim Robbins ne La Guerra dei Mondi

Il colpo di scena finale è prevedibile, scontatissimo e pure ridicolo. Filosofie e tattiche di guerra e caccia appena accennate. 

Banale.


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