giovedì 2 settembre 2010

"Niente vende più delle vittime."


Quando un film viene additato come "scioccante", "scandaloso" o "durissimo", mi puzza sempre di mossa promozionale e resto scettico. A Serbian Film ha iniziato a mietere vittime tra il pubblico nei festival in cui è stato presentato, tanto da dover essere ritirato da Cannes dopo le primissime proiezioni e da non riuscire a trovare un distributore in Europa (a proposito, scaricatelo tranquillamente perché tanto in Italia non vedrà mai la luce). E, anch'io, dopo averlo visto, mi sono dovuto ricredere. 

Anzi, stavolta non riesco proprio a comprendere le reazioni di quei giornalisti e blogger che, con spirito anticonformista e snob a tutti i costi, hanno minimizzato con recensioni infarcite di paroloni da neolaureati facendo paragoni insensati con il cinema di Haneke, di Von Trier o di Eli Roth, il tutto all'insegna del "abbiamo visto di peggio". 

Ora, o io, che pure mi sono sorbito davvero di tutto, sono diventato improvvisamente un rammollito, o questi signori hanno un problema serio. Ditemi voi. In una stanza sporca e tenebrosa, una donna sta partorendo. Un uomo incappucciato tira fuori la bambina, dopodiché, senza neppure tagliare il cordone ombelicale, la stupra davanti agli occhi compiaciuti della madre. Il tutto mostrato in modo assolutamente esplicito. Io, in trent'anni, non ho mai visto nulla di peggio. 

Milos è un ex-pornostar serbo che accetta di girare un porno "ad impronta" senza conoscerne la trama e seguendo di volta in volta le indicazioni del regista. Si ritroverà ad essere protagonista di un raccapricciante porno-horror tra snuff movie e pedofilia. La trama è tutta qui. 

Come avrete capito il film regge soprattutto sulla violenza disturbante delle scene. La sequenza finale presenta un colpo di scena intuibile ma comunque sconvolgente e sfocia in uno splatter grottesco e, finalmente, divertito. Bello l'epilogo. 

Secondo il regista Srdan Spasojevic, il film sarebbe un atto di accusa contro il governo serbo ma non riesce appieno nel suo intento. L'impatto delle immagini, infatti, e talmente devastante da sovrastare seconde letture o metafore, tanto che a un certo punto il regista ha avuto bisogno della didascalia di un dialogo esplicativo. 

Insomma, per essere prosaici, alla fine del film avrete negli occhi tutte le nefandezze che avrete appena visto e non starete certo a pensare ai problemi del popolo serbo. Se l'intento del film era quello di colpire allo stomaco, ci riesce in pieno, ma non è uno schiaffo morale che induce a riflettere, è un pugno in faccia che stordisce e basta.


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