lunedì 15 febbraio 2010

"Sono il capitano della mia anima."


A parte il pugilato e qualche altra sporadica eccezione, lo sport sul grande schermo non ha mai funzionato molto. Ci prova la premiata ditta Clint Eastwood, in veste di regista, e Morgan Freeman, che ha fortemente voluto e prodotto il film, già insieme ne Gli Spietati e proprio nel pugilistico Million Dollar Baby, vincitore di quattro premi Oscar tra cui quello di miglior attore non protagonista per Freeman. 

La storia sembra ripetersi visto che, per Invictus, Freeman ha ottenuto meritatamente la nomination come miglior attore protagonista nel ruolo del presidente Nelson Mandela (non sarebbe perfetto anche nel ruolo di Kofi Annan?). Immeritata, invece, la nomination a Matt Damon come miglior attore non protagonista nel ruolo del capitano della nazionale sudafricana di rugby François Pienaar. 

Dopo Distretto 9 (a proposito di Oscar, candidato come Miglior Film), si torna dunque a parlare di Sudafrica che, nel 1995, ospitò i mondiali di rugby. Mandela colse la palla (ovale) al balzo per tentare di realizzare un primo passo verso l'unificazione del paese dopo l'apartheid, accomunando tutti i sudafricani nella passione sportiva e galvanizzando Pienaar a spingere la nazionale oltre il possibile. Sostenuta dal pubblico di casa, la squadra, che nell'imminenza della competizione era praticamente allo sbando, non solo riuscì nell'impresa ma sconfisse in finale gli invincibili neozelandesi. 

Lo stile di Eastwood è sempre asciutto, diretto ed efficace ma si ritrova le mani legate dall'obbligo di raccontare una storia reale e recente che gli preclude licenze e lo costringe ad una regia quasi documentaristica. La narrazione risulta a tratti sommaria e frammentata, troppo incentrata, forse, sulla figura di Mandela. 

Il personaggio di Pienaar non viene approfondito (inspiegabile, appunto, la nomination a Damon). I fari vengono puntati piuttosto su alcune storie individuali, come le guardie del corpo del Presidente, miste tra neri e bianchi, che si guardano in cagnesco all'inizio per ritrovarsi legati nel tifo alla fine, con scene da spot dei Ringo Boys, ma che non giustificano intere sequenze e dialoghi sulle loro tattiche di difesa. 

Col senno di poi, il cammino del Sudafrica nel mondiale sembra preludere ad un crescendo emotivo che viene totalmente a mancare ed è concentrato solo nella partita finale, pure carente dell'enfasi adatta. Tuttavia, il film è nobile nel suo intento di raccontare una bella pagina di sport e di storia e viene da chiedersi se Mandela non abbia galvanizzato allo stesso modo la nazionale di calcio in vista dei mondiali di giugno proprio in Sudafrica.


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